Salve, sono John Keats. Forse vi ricorderete di me per opere celebri tipo Ode to a Grecian Urn o per il film sulla mia vita Bright Star. O perché oggi, 23 febbraio, si celebra il duecentesimo anniversario dalla mia prematura scomparsa.
E dico prematura perché sono mancato a soli 25 anni. Peccato, altri due e, vista l’iniziale del mio nome, sarei potuto entrare nel club J27, insieme a leggende come Jimi Hendrix e Janis Joplin.
Però una leggenda lo sono stato pure io, perché le mie poesie mi hanno reso unanimemente uno dei più significativi letterati del Romanticismo.
Ho dedicato la mia breve vita a perfezionare una tipologia di poesia caratterizzata da immagini vivide e grande fascino sensuale, espressi attraverso le leggende classiche. Lasciate che vi racconti come ci sono riuscito.
I primi anni di John Keats
Iniziamo con il giorno della mia nascita, il 31 ottobre 1793, a Londra.
Mio padre, Thomas, amministrava le stalle costruite da suo suocero mentre mia madre badava a me e ai miei quattro fratelli. Edward, il penultimo nato, morì quasi subito. Un segno, perché purtroppo, vedrete, la mia vita è stata segnata da molti avvenimenti spiacevoli, che si sono riversati nelle mie frasi poetiche.
Qualche anno più tardi, nel 1803, cominciai a frequentare la scuola del reverendo John Clarke. In quella scuola conobbi il figlio del reverendo, Charles Cowden Clarke, che diverrà mio grande amico e che posso considerare come mio primo “maestro” nella scoperta della letteratura.
Ricordo di aver studiato, oltre ai classici latini, anche il francese, la storia e la geografia. Ricordo anche di non essere stato molto portato ai libri, ma di avere una grande passione per il pugilato e la lotta in generale. Questa mia spensieratezza e vivacità subirono un duro colpo giusto l’anno dopo il mio ingresso a scuola, nel 1804. Mio padre infatti cadde da cavallo e morì in aprile.
Qualche mese più tardi mia madre si risposò con William Rawlings, un matrimonio che oserei definire infelice, oltre che breve. Ma non ne parlai quasi mai con i miei fratelli, con cui mi scrivevo spessissimo quando fui mandato a vivere dai nonni.
L’anno successivo il nonno morì e con la nonna ci trasferimmo a Edmonton, un quartiere a nord di Londra.
Gli inizi letterari
Secondo i racconti del mio amico C.C. Clarke, iniziai ad interessarmi di letteratura intorno al 1809, all’età di 16 anni. E’ vero, ero molto determinato all’epoca a voler vincere tutti i premi scolastici in quel campo. Lessi tutti i libri della biblioteca scolastica e tradussi i classici di Virgilio e Fénelon. Il primo premio lo vinsi in estate.
L’anno successivo, nel 1810, mia madre morì di tubercolosi. Così mia nonna fu costretta ad istituire un fondo per la mia istruzione e quella dei miei fratelli e ci affidò a dei tutori.
Poco dopo lasciai la scuola e andai invece a studiare come apprendista medico presso Thomas Hammond, chirurgo e farmacista di Edmonton. Due dei miei fratelli invece cominciarono a lavorare presso l’ufficio contabile del nostro tutore.
E’ in questo periodo che cominciai a scrivere le mie prime poesie, tipo Imitation of Spenser, To Lord Byron ecc..
Poco tempo dopo morì anche la nonna e la mia sorellina Fanny venne a vivere con noi e i nostri tutori. Io entrai come studente in medicina al Guy’s Hospital ma non trascuravo la mia vera passione, e così scrivevo sonetti.
La prima pubblicazione di una mia poesia avvenne il 5 maggio 1816, quando l’Examiner pubblicò O solitude. Nello stesso anno superai un esame di medicina e iniziai a fare pratica come farmacista, chirurgo e medico. In autunno entrai in amicizia con i letterati Leigh Hunt, Benjamin Haydon e John Hamilton Reynolds. Il primo tra questi mi definì una “promessa” in un articolo sui Giovani Poeti dell’Examiner.
L’importanza dell’ispirazione
Nel 1817, durante una cena, Hunt mostrò le mie poesie a Shelley, William Godwin, Basil Montague e Hazlitt, e ne rimasero molto colpiti. Qualche giorno dopo, credo fossero i primi di marzo, mi recai a vedere i marmi del Partenone esposti a Londra e mi impressionarono così tanto che diventarono i protagonisti della mia poesia.
Il 3 marzo vidi la stampa della mia prima raccolta poetica, Poems, edita da C. e J. Ollier. Grandissima soddisfazione. Mi misi anche d’accordo con i miei futuri editori, Taylor e Hessey, per la pubblicazione delle poesie future. In aprile andai a fare una visita all’Isola di Wight, ed è lì che approntai il piano della mia opera Endymion e, contemporaneamente, mi misi a studiare Shakespeare.
Mi piaceva molto visitare luoghi che potevano darmi ispirazione; ad esempio mi recai a Canterbury e Hastings. Qui avvenne il misterioso e breve incontro con la talentuosa Isabella Jones, che diventò una grande amica e confidente. Poi visitai anche Oxford e mi dedicai alla lettura di Milton e Wordsworth.
In novembre l’Endymion era terminato e vide le stampe l’anno successivo, dopo che rividi le bozze varie volte. In quel periodo assistevo mio fratello Tom che era molto malato. L’altro mio fratello, George, si sposò ed emigrò negli Stati Uniti con la moglie. Decisi allora di fare il tour a piedi del Lake District e della Scozia insieme con il mio amico C. Brown. Oltre al mio amico, per tutto il giro, mi portai anche una traduzione della Divina Commedia dantesca.
John Keats contro
Il viaggio fu interrotto perché mi ammalai. Così tornai a fare assistenza a mio fratello che, nel frattempo, era peggiorato. Al colpo ricevuto alla vista di mio fratello si aggiunse anche l’insuccesso critico di Endymion: tre critici mi massacrarono e mi consigliarono di continuare a fare il medico invece che scrivere poesie.
Ci furono polemiche, articoli, processi e persino duelli. Tanta gente mi credeva incapace di reggere le critiche e che la mia precoce morte fosse dovuta proprio all’incapacità di gestire tutto questo trambusto intorno alle mie opere. Invece ero molto più forte di quanto la gente credesse, ricordate ad esempio la lettera dell’8 ottobre 1818?
“Non posso che sentirmi indebitato verso coloro che hanno preso le mie difese. Per il resto comincio a capir bene sia la mia forza che la mia debolezza. Lodi o biasimi non hanno che un effetto momentaneo su colui il cui amore per il bello in astratto lo rende un critico severo del proprio lavoro”
L’annus mirabilis
Il 1819 fu per me un anno importantissimo, perché concentrai tantissimo lavoro in poco tempo. Scrissi infatti le mie famose odi: On Indolence, On a Grecian Urn, e To a Nightingale, per citarne alcune. E due versioni di Hyperion.
Quest’ultima poesia è stata difficile da comporre, in quanto sentivo la tensione della malattia. E sentivo anche il crescente amore per Fanny Brawne, la mia fidanzata (pure vicina di casa a dirla tutta), che tenevo nascosta. La riempivo di lettere d’amore che fecero scandalo quando vennero scoperte anni dopo.
In effetti, nei miei componimenti, dipingevo con le parole un’atmosfera di passione ed eccitazione nella descrizione della fuga di una coppia di giovani amanti. Posso dirlo io stesso, in queste ultime poesie potevo vedere il progresso intellettuale, ma anche stilistico, fatto rispetto ai miei primi scritti.
Avevo però anche un’altra ossessione in testa, la mancanza di denaro. Pensai di mettermi a lavorare, ma non ne feci mai nulla e mi dedicai solo ed esclusivamente alla poesia. E anche a Fanny, con cui mi fidanzai alla fine di questo anno per me incredibile.
Gli ultimi anni
A proposito di soldi…all’inizio del nuovo anno, il 1820, mio fratello e sua moglie tornarono dagli Stati Uniti. Pieni di debiti. Cercai di aiutarli ma Otho The Great, l’unica opera teatrale che avevo scritto, venne rifiutata. Però venne pubblicata la mia Ode on a Grecian Urn.
Il 3 febbraio mi sentii parecchio male a causa di una emorragia. Rimasi a casa tutto il mese e, preso dalla depressione, proposi a Fanny di rompere il fidanzamento. Il 22 giugno ebbi un’altra emorragia e andai ad abitare a casa del mio amico e letterato Leigh Hunt, che si prese cura di me. Nel frattempo alcune delle mie poesie vennero pubblicate, cosa che diede un po’ di sollievo alla mia anima.
Quell’estate il medico mi ordinò di trasferirmi in Italia, dove il clima mi avrebbe aiutato. A settembre quindi partii e feci il viaggio in nave con il mio amico pittore Joseph Severn. Dopo qualche giorno dalla partenza ci fermammo a Portsmouth dove composi il sonetto Bright Star.
Il 21 ottobre arrivai a Napoli e poi mi spostai a Roma, prendendo casa in Piazza di Spagna. Il 30 novembre scrissi praticamente la mia ultima lettera, sapevo che quelle erano le mie ultime settimane di vita.
Il 23 febbraio 1821 me ne andai, alle 11 di sera, dicendo le mie ultime parole al mio amico Joseph Severn “Sollevami, sto morendo – morirò facilmente – non spaventarti, grazie a Dio è giunta l’ora“.
Il lascito di John Keats
Da qui il team Zoa Studio riprende la parola. A John Keats venne effettuata un’autopsia che rivelò il gravissimo stato dei polmoni. Diagnosi: tubercolosi. Come quella che portò via parte della sua famiglia. Keats fu sepolto il 26 febbraio nel Cimitero Protestante di Roma. 50 anni dopo anche Joseph Severn che l’aveva accompagnato nel suo ultimo viaggio avrebbe riposato a fianco all’amico. Sulla tomba, secondo le volontà del poeta, sono poste margherite e questa iscrizione.
«Questa tomba contiene i resti mortali di un GIOVANE POETA INGLESE che, sul letto di morte, nell’amarezza del suo cuore, di fronte al potere maligno dei suoi nemici, volle che fossero incise queste parole sulla sua lapide: “Qui giace un uomo il cui nome fu scritto nell’acqua”
È impossibile dire quanto i posteri avrebbero potuto ricevere a livello letterario se Keats fosse vissuto più a lungo. La sua reputazione tuttavia crebbe costantemente per tutto il XIX secolo.
La sua influenza si trova ovunque nei versi romantici dell’età vittoriana, praticamente dai primi lavori di Lord Tennyson in poi. Il carattere emotivo della poesia di Keats e la minuziosa delicatezza della sua naturale osservazione furono molto ammirati dai pittori preraffaelliti, che la illustrarono nei loro dipinti.
In realtà, i seguaci del XIX secolo di Keats nel complesso apprezzavano gli aspetti più superficiali del suo lavoro, ed è stato in gran parte lasciato al XX secolo il compito di rendersi conto dell’importanza dei suoi risultati tecnici e intellettuali.
E, così come abbiamo iniziato con una citazione alla Troy McClure dei Simpson, non dimentichiamo che questi ultimi, nel XXI secolo, hanno citato “Beauty is truth, truth beauty” (da Ode on a Grecian Urn) in un episodio, incantando Lisa.
E le poche e bellissime parole di un poeta inglese in un cartone animato americano hanno dimostrato semplicemente che John Keats è riuscito nel suo intento. Quello di vivere per sempre attraverso i suoi versi.
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